Elisabetta Pozzi racconta I Persiani di Eschilo 56 luglio 2017 Arena Shakespeare
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http://www.teatrodue.org/persiani/ • I PERSIANI • di Eschilo • traduzione di Giorgio Ieranò • Elisabetta Pozzi - Atossa • Alberto Mancioppi - Ombra di Dario • Raffaele Esposito - Serse • Ivan Zerbinati - Messaggero • Coro - Davide Gagliardini • Michele Lisi • Dino Lopardo • Davide Mancini • Nicola Nicchi • Gian Marco Pellecchia • Carlo Sella • suono e musica Daniele D’Angelo • scene Matteo Patrucco • costumi Ilaria Ariemme • luci Luca Bronzo • movimenti Marta Ciappina • assistente alla regia Laura Cleri • regia Andrea Chiodi • produzione Fondazione Teatro Due • Arena Shakespeare 5 e 6 luglio 2017 • La forza della più antica tragedia greca conservata in modo integrale continua a deflagrare a quasi 2600 anni dalla sua prima rappresentazione. Con lo sguardo di un reporter di guerra ante litteram, Eschilo ci offre uno sguardo inedito sul dramma della disfatta dell’armata di Serse a Salamina. La Grecia ha trionfato; il nemico di sempre, l’impero achemenide, è stato valorosamente respinto e Atene si appresta a porsi come garante di libertà e di eguaglianza. Ma ciò che vediamo è già accaduto, non meno di otto anni prima. Poi qualcosa è cambiato. Sbalordendo la memoria del trionfo del popolo ateniese, ancora trionfante per i successi militari e per il valore degli uomini che combatterono contro Serse, Eschilo, soldato egli stesso contro i Persiani, ricorda ai Greci di che tempra erano quando poterono sconfiggere il mastodontico esercito nemico: era stato lo spirito di appartenenza che li univa a portarli alla vittoria. Ecco l’idea di capovolgere il piano drammaturgico: la reggia di Susa, l’angoscia dei vecchi sudditi di Serse in attesa di notizie dal fronte, i sogni della regina Atossa, madre di Serse e moglie di Dario. Dubbi tragicamente confermati da un messaggero, che annuncia la sconfitta totale dell’armata da parte di coloro che hanno fama di “non essere schiavi a nessuno, di non obbedire a nessuno”. È stata la tracotanza del giovane re, Serse, a portare il suo popolo alla rovina. La Storia prende il posto del Mito, fatto unico nella produzione tragica greca pervenutaci, per scuotere gli animi e ammonire da un lato chi si crede pari a un dio, dall’altro chi dimentica i suoi valori per crogiolarsi in una pace fragilissima. E gli Ateniesi piansero, assistendo alla tragedia e non accorgendosi, tracotanti anche loro, delle ombre della guerra del Peloponneso che si addensavano sull’età dell’oro di Pericle.
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